Noto con l'acronimo inglese ADHD, il
disturbo da deficit di
attenzione/iperattività è un disturbo del
neurosviluppo con esordio in
età evolutiva (prima dei 12 anni) caratterizzato da
disattenzione e/o iperattività e
impulsività. L'ADHD potrebbe essere
comunque diagnosticabile anche
in adolescenza e in età adulta.
Il disturbo da
deficit di attenzione/iperattività è una delle più frequenti
diagnosi infantili e rappresenta il più comune problema
comportamentale infantile. La caratteristica più evidente
dei bambini iperattivi è l'agitazione motoria, uno stato di
agitazione quasi permanente, il bambino è sempre in
movimento, salvo alcune finestre di pseudo-tranquillità, e
sembra dotato di una energia inesauribile, attratto da una
infinità di cose, persone, situazioni. Il comportamento
iperattivo risulta però non finalizzato, il bambino non
conclude le attività neanche di gioco in quanto spesso viene
"distratto" da un altro stimolo, sia esterno sia di
pensiero.
La questione fondamentale riguarda il processo diagnostico,
non tutti i bambini che mostrano "iperattività" possono
essere diagnosticati come affetti da ADHD. La diagnosi in
questi casi etichetterebbe il bambino come iperattivo,
costringendo il suo comportamento all'interno di una
categoria nosografica. Capita sovente che un'etichettatura
diagnostica possa suggerire sia alla famiglia che al bambino
la percezione di una "malattia". Tale percezione genera a
sua volta reazioni tali che nei vari contesti (famiglia,
scuola, gruppo pari, ecc.) e il bambino inizia a essere
trattato da malato favorendo reazioni di adesione alle
aspettative di patologia dell'ambiente, confermando la
percezione generale di persona "malata".
Si instaura quello che in psicologia emotocognitiva viene
definito con il termine tecnico di "loop disfunzionale"
(Baranello, 2006), ossia un circolo vizioso, fatto di
comunicazioni e comportamento, che, anziché risolvere,
alimenta il problema stesso e diviene causa del
mantenimento. La sensazione che la famiglia avrà è di
"impotenza", di fatica e di impossibilità a gestire una
situazione così complessa che nella maggior parte dei casi
impegna pesantemente tutto il nucleo familiare.
Dal lato opposto, in
modo un po' superficiale, si pensa all'iperattività come un
eccesso di vivacità nel bambino e, quando si tratta di
problematiche in età evolutiva, il pensiero "popolare" dei
non addetti ai lavori è che si tratti di una questione
legata a un ambiente familiare, all'educazione
impartita dai genitori, a una indole o caratteristiche dal
bambino, cose simili. Ovviamente la
questione non si può ridurre a questo, tutt'altro. Quando in
una famiglia considerata "sana" si iniziano a manifestare i
primi sintomi di iperattività in un figlio la condotta base
dei genitori è quella classica e automatica che metterebbe in atto la
maggior parte delle persone, quella di cercare di
controllare la situazione impartendo delle istruzioni al
bambino del tipo "non fare così", "cerca di stare
tranquillo" oppure all'opposto le classiche minacce con
intenzioni educative del tipo "se fai così non farai questo"
o "se continui così...", in altre occasioni i genitori
cercano di capire il motivo di un atteggiamento pensando che
possa essere successo qualcosa al bambino in altri contesti
o con alcune persone, altre volte si tende a una
rassicurazione o, dopo un po', si cerca di ignorare l'atteggiamento iperattivo. Tutte queste modalità di
comunicazione e comportamento però sono destinate a fallire.
Per questi
motivi è necessario che la situazione sia valutata da
professionisti esperti in materia. Quando
correttamente valutato nei suoi processi di
funzionamento, l'ADHD non è un problema marginale che si
risolve con l'età in modo spontaneo, la persistenza dei
sintomi rappresenta una condizione di estrema compromissione
dello sviluppo psicofisiologico del bambino.
La causa, sostiene lo psicologo Baranello, fondatore della
teoria emotocognitiva, non va ricercata in cause simboliche
o astratte, in pseudo-traumi o in problematiche familiari ma nei processi di organizzazione sistemica
che agiscono nel qui-e-ora. Vale a dire che la vera causa
non risiederebbe nel passato, non andrebbe rintraccaita in fantomatici traumi o
problematiche relazionale, né può essere l'ADHD considerato una
malattia. L'ADHD è un disturbo e come tale va corretto. La causa
del disturbo, per l'autore, è da rintracciare in un'errata
convinzione circa il funzionamento dei processi
organizzativi psicofisiologici e sistemici. Tali convinzioni
portano come conseguenza, pur con le migliori intenzioni, ad
adottare comportamenti e stili di comunicazione non
funzionali. Così da un semplice e transitorio sintomo, il sistema
di errate convinzioni porta alla genesi di un vero e
proprio disturbo. Mentre le classiche impostazioni della
tradizionale psicologia filosofica focalizzavano
l'attenzione sugli elementi scatenanti (spesso confusi con
le cause), la psicologia
emotocognitiva si focalizza sui processi organizzativo-funzionali agenti nel qui-e-ora e che sono,
per Baranello, la vera causa
alla base del mantenimento, a livello longitudinale nel
tempo, del disturbo. L'autore auspica infatti una
rieducazione funzionale globale che dovrebbe passare per i
sistemi educativi primari come scuola e famiglia. In questo
modo si verrebbe a creare un nuovo sistema
di convinzioni basato su nuove conoscenze, più vicine alla
realtà funzionale del sistema. Questo favorirebbero la messa in atto di
buone prassi in grado di prevenire l'insorgenza di disturbi
di natura psicologica come il Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività.
Per il
trattamento a volte il problema è che il genitore vorrebbe
soluzioni immediate rimandando ai sistemi scolastici o a
quelli sanitari il compito di risolvere in poco tempo la
situazione, aspettandosi "formule magiche". Molti genitori
non accettano il fatto che, pur muovendosi nel giusto i
proprio comportamenti e la propria comunicazione non abbiano
funzionato. Questo è il primo grande ostacolo da superare
per educatori e psicologi. Quasi tutti vorrebbero un
via "facile". Quando siamo di fronte a un disturbo vero e
proprio, non esiste "facile", esiste "possibile". E' davvero
necessario capire che le possibilità offerte da nuovi
trattamenti sia psicologici che educativi comporta un
impegno importante per il genitore e la via del successo
riabilitativo deve trovare una forte compliance al
trattamento da parte della famiglia. Senza una forte
adesione al trattamento la via del successo è sempre più in
salita! Un genitori che continua ad adottare lo stesso
comportamento e lo stesso stile di comunicazione non si può
aspettare ogni volta una risposta diversa del bambino!
Eppure capita così spesso che il genitore, sempre con le
buone intenzioni ovviamente e sempre da un posizione etica
giusta, si trovi a ripetere centinaia di volte al bambino le
stesse cose. Quello che dobbiamo proporre è un cambiamento
di ottica, un ribaltamento delle nostre convinzioni. Perché
spesso non è ciò che facciamo a non funzionare ma le
convinzioni, le premesse, dalle quali partiamo. Cambiare
ottica, cambiare visione è l'ostacolo principale da
superare, spesso non esente da conflitti tra il genitori e i
professionisti in campo psicologico ed educativo.
In questa
campagna informativa sull'ADHD affronteremo il tema della
diagnosi clinica secondo i criteri adottati dal DSM-5, la
comprensione funzionale del disturbo nell'ottica della
teoria emotocognitiva e indicheremo le linee guida per il
trattamento indiretto adottato presso i nostri studi di
psicologia e centri di
psicologia emotocognitiva.
a cura di
Redazione "SRM Psicologia"
ultimo aggiornamento, 1 settembre
2016
come citare
questa fonte
Redazione (2016)
Introduzione alla campagna
informativa sull'ADHD
in Baranello, M. (a
cura di) (2016)
Disturbo da deficit di attenzione e
iperattività.
Diagnosi con
il DSM-5, comprensione e
trattamento.
SRM Psicologia, Progetto PRS,
settembre 2016
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