Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività (ADHD)
valutazione diagnostica, comprensione funzionale e terapia psicologica breve riabilitativa dell'iperattività
trattamento psicologico indiretto per genitori di bambini e adolescenti con disattenzione e iperattività
cura psicologica breve di riabilitazione dell'ADHD senza farmaci e senza psicoterapia

 

 

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Comprensione Funzionale del deficit di attenzione iperattività (ADHD)
teoria emotocognitiva: spiegazioni circa l'esordio, la patogenesi e il mantenimento del dismorfismo corporeo
 

Il Bambino Iperattivo

Nei bambini è comune riscontrare scarsa tolleranza alla frustrazione, scoppi d'ira, prepotenza, ostinazione, eccessiva e frequente insistenza sul fatto che le richieste siano soddisfatte, umore instabile, demoralizzazione, disforia, rifiuto da parte dei coetanei, e scarsa autostima. Questo, secondo la teoria emotocognitiva, è l'aspetto fenomenologico ma non rappresenterebbe di per sé una malattia o l'indicazione di un disturbo.
Sono, per lo psicologo italiano Baranello, sintomi con aspetti di per sé del tutto funzionali che, però, un sistema di convinzioni ormai secolarizzato o il sistema di convinzioni familiare, sociale o del gruppo al quale ci si riferisce, considerano disfunzioni. La comprensione funzionale dell'ADHD varia notevolmente  in base al sistema teorico utilizzato. Le teorie emotocognitive non sottovalutano il disturbo ma creano una profonda distinzione tra sintomi e disturbo nonché tra "fattori scatenanti" e reali cause del disturbo. Per Baranello il sintomo rappresenta una normale funzione tesa a ridurre stati psicofisiologici di attivazione centrale e periferica rispetto al sistema nervoso, tanto da permettere all'organismo una perfetta armonizzazione (principio emotocognitivo dell'equilibrio) rispetto al sistema nel quale esso è inserito. Il disturbo invece deriva dall'opposizione del sistema organismo o più ampiamente, soprattutto nel caso di minori, del sistema ambiente, al processo di scarica tensiva naturale dell'organismo stesso. Di fatto il contrasto diretto alla sintomatologia porta allo sviluppo di ciò che Baranello definisce "conflitto attuale" che porta allo sviluppo della tensione sistemica definita sintomo-specifica e quindi, secondo il processo circolare definito in psicologia emotocognitiva "loop disfunzionale" (Baranello, 2006) alla genesi del disturbo vero e proprio.

Spesso nel bambino con disturbo da deficit di attenzione e iperattività si possono notare risultati scolastici compromessi e svalorizzati che diventano sovente causa di conflitti tra la famiglia e gli insegnanti.  Questo tipo di "conflitto" deriva, secondo la teoria emotocognitiva, da una inadeguata informazione circa il reale funzionamento dei processi organizzativi psicofisiologici e biopsicoambientali quindi su errate convinzioni.

I bambini possono essere accusati di essere pigri in quanto l'insufficiente capacità di impegno in attività e compiti che richiedono uno sforzo prolungato è spesso interpretata come segno di pigrizia, di scarso senso di responsabilità o di comportamento oppositivo anziché da un disturbo da deficit di attenzione.
In alcune situazioni quali guardare la televisione, essere impegnati in un videogioco, o in una attività che li coinvolge in modo diretto e interessato, i bambini riescono a prestare attenzione o a stare seduti. Anche nelle prime settimane di scuola il bambino può avere un comportamento fenomenologicamente più controllato. Questo può far pensare ai genitori e agli insegnanti sul fatto che i bambini siano attenti e partecipi solo quando lo vogliono o quando qualcosa li interessi in modo particolare, come il gioco. Di nuovo un'errata interpretazione che può portare a forzare il sistema educativo e quindi attivare nuovamente il circuito chiuso che genera il disturbo. Quando siamo in presenza di un disturbo spesso sono proprio gli atteggiamenti che consideriamo "moralmente" giusti che portano alla genesi della disfunzione.

Il movimento continuo del bambino identifica per Baranello lo stato di ipertono e di eccitazione psicofisiologica del soggetto. Per l'autore l'ADHD si sviluppa da un rapporto di scambio ad alta frequenza tra l'attivazione centrale e periferica del sistema nervoso, in soggetti del tutto sani. Nella pratica questa attivazione potrebbe impedire l'attenzione verso altro con il risultato di non concentrarsi, di non ricordare o di non comprendere o non eseguire un compito. In realtà, spiega Baranello, il soggetto iperattivo è inserito in un sistema che, nel tentativo di risolvere il problema, incrementa senza volerlo lo stato delle stimolazioni portando quindi ad una iperstimolazione e a un aumento delle richieste di attività programmata che poi l'organismo dovrà liquidare necessariamente per via motoria. La conseguenza è che il bambino acquisisce con grande fatica le informazioni e spesso rimane indietro nel programma rispetto all'andamento generale della classe, con una possibilità di recupero sempre più bassa. Questo comporta, in molti casi, il raggiungimento di risultati scolastici significativamente al di sotto delle sue potenzialità. Tale condizione fa si che il bambino assuma un atteggiamento negativo nei confronti della scuola, vissuta principalmente come luogo di frustrazione e di fallimento.

Le difficoltà relazionali sono la conseguenza di una modalità negativa di approcciarsi ai compagni, caratterizzata a volte da prepotenza, aggressività, irritabilità che però se lette nell'ottica del sistema che esperisce e in relazione a ciò che il bambino sta subendo in termini di iperstimolazione, risulterà a un occhio attento, del tutto normale, anche se socialmente non accettabile e non funzionale. Di nuovo la teoria emotocognitiva suggerisce di optare per una modificazione delle azioni di controllo ambientali al fine di favorire la soluzione tensiva dell'organismo fino a ottenere, in tempi in realtà molto brevi e a volte quasi immediati, una spontanea remissione del problema.

Nelle attività di gioco i bambini con diagnosi di ADHD manifestano difficoltà a rispettare il proprio turno e ad accettare e applicare le regole. Proviamo però a pensare al numero più elevato di imposizioni, moralmente giuste ma nella pratica non funzionanti, che il soggetto con ADHD subisce proprio a causa dell'idea che occorra gestirlo e controllarlo! Il risultato è che spesso il bambino finisce per essere isolato o per giocare con i bambini più piccoli dove può esercitare un suo personale controllo e quindi sentirsi artefice della propria esperienza.

La interazioni possono essere qualitativamente negative e quantitativamente scarse sia con il gruppo dei pari che con gli adulti, sempre dal punto di vista fenomenologico. La compromissione della sfera relazionale e sociale può interferire in modo significativo sul normale processo di sviluppo. Il bambino non ha la possibilità di vivere sufficienti esperienze positive di riuscita e di riconoscimento personale che possano favorire la percezione di sé come persona adeguata e in grado di agire in modo funzionale.


La famiglia

Le relazioni familiari sono spesso caratterizzate da risentimento, irritazione, contrasto, rabbia, soprattutto perché la variabilità del quadro sintomatologico del bambino porta spesso i genitori a ritenere che tutto il comportamento inopportuno sia, in qualche modo, intenzionale. Come se fosse un "grande capriccio" del bambino. Le azioni messe in atto dal bambino all'interno dell'ambiente assumono connotazioni del tutto diverse se l'ottica si cala dal punto di vista del soggetto così come suggerisce la teoria emotocognitiva. Guardare con l'ottica del bambino che fa l'esperienza può aiutare davvero a capire e di conseguenza a risolvere.
Il sintomo diviene connotato negativamente per convinzioni sociali (e sanitarie) ancora piuttosto diffuse e le azioni di contrasto diretto tese all'inibizione dell'azione del bambino portano alla genesi di vere e proprie contratture muscolari che poi l'organismo risolverà con stati di attivazione del tutto involontari, cronicizzandosi in un disturbo. La psicologia emotocognitiva sostiene la non esistenza di vere e proprie strutture stabili enfatizzando il ruolo dei processi di mantenimento psicofisiologici alla base del disturbo. Di fatto quello che chiamiamo cronicizzazione può risolversi proprio agendo su tali processi. Per cronico, nella teoria emotocognitiva, è soltanto un modo ridondante di organizzazione disfunzionale rispetto al sintomo e sarà cronico finché non si modificherà il processo. Una prospettiva, quella emotocognitiva, rivolta completamente al futuro correttivo del disturbo anziché alla mera comprensione di un passato dove al massimo si possono rintracciare elementi scatenanti ma non le vere e proprie cause.

Trovarsi al centro di un'incessante iperattività può essere molto spossante e irritante per la famiglia. La tutela del minore senza la tutela della famiglia è davvero inutile. Per questo l'intervento emotocognitivo è un intervento di armonizzazione sistemica.

Il bambino iperattivo è un bambino difficile da calmare e da consolare nei modi che popolarmente conosciamo, quelli di tipo diretto, che, si rivelano del tutto inutili e inefficaci anzi, addirittura patogenetici. Se si cerca di prenderlo in braccio, di tenerlo vicino a se, di accarezzarlo o di parlargli può risultare sfuggente.
Spesso atteggiamenti apparentemente normali e messi in atto con le migliori intenzioni come dire "stai tranquillo" o all'opposto "rimproverarlo" oppure atteggiamenti basati sul cercare si spiegare o all'opposto punirlo, così come tentare di essere indifferenti o all'opposto sgridarlo, si rivelano del tutto fallimentari.
Baranello sostiene che la metodologia d'intervento più efficace passa invece per un nuovo tipo di informazione, un'educazione di tipo indiretto, basata proprio sulle nuove nozioni circa il funzionamento dell'organismo.

Il bambino, a volte, sembra agire intenzionalmente per far perdere la pazienza ai genitori che a loro volta, nonostante facciano ricorso a tutte le loro risorse cercando di "provarle tutte" per risolvere il problema, possono diventare insofferenti ed esausti, soprattutto nel vedere che la situazione non migliora. Viene ad instaurarsi così quello che definiamo "loop disfunzionale" (Baranello, 2006), ossia un processo circolare ridondante nel quale i tentativi di soluzione messi in atto non solo non risolvono il problema ma alimentano il problema stesso acuendo la tensione sintomo-specifica e quindi producendo proprio il sintomo come effetto e quindi la genesi del disturbo. Questo ovviamente non significa che il genitore abbia colpe, tutt'altro.
Baranello sostiene che nessuno può essere considerato colpevole direttamente perché in realtà il problema è semplicemente derivato da una carenza informativa adeguata.
Il concetto di "colpa" è spesso basato su vecchie teorie del trauma, del tutto inesistenti e scientificamente non rilevanti, che vogliono associare cause simboliche, quindi del tutto astratte, alle manifestazioni sintomatologiche apparentemente disfunzionali. Queste vecchie teorie rischiano di creare falsi legami tra causa-effetto e quindi contribuire al mantenimento stesso del problema. I genitori possono essere sconcertati dal non riuscire a comprendere cosa faccia agire il figlio in un certo modo e si sentono isolati anche dal punto di vista sanitario, dove nessuno è in grado nella pratica di dire loro un semplice ed efficacie "come fare".
Si trovano di fronte a mille informazioni, concetti generali, ma a poche reali soluzioni, ovvero c'è un deficit conoscitivo in ambito educativo e sanitario che va assolutamente colmato.

L'ADHD è infatti un disturbo e il bambino non mette in atto "per cattiveria" la condotta iperattiva ma percepisce un impulso al comportamento che, dall'esterno, appare eccessivo e disfunzionale. I genitori dopo un po' sono costretti a capire che ogni loro atteggiamento teso alla soluzione rapida o diretta del problema non funziona. Il bambino sembra prendere tutte le energie familiari e tutto il potere. Tutte le scelte familiari vengono drasticamente e pesantemente condizionate dal problema del bambino. I genitori si trovano così ad affrontare una situazione per la quale nessuno sembra avere una risposta risolutiva. Di qui nella maggior parte dei casi interviene dapprima il pediatra che molto spesso offre consigli generici come "cercate di non dare troppa importanza", "cercate di farlo stare tranquillo", "non puntateci troppo l'attenzione" e cose simili ma difficilmente dicono il "come fare" tutto questo, altre volte consiglia visite presso un reparto di neuropsichiatria infantile, e in alcune circostanze potrebbe addirittura consigliare trattamenti farmacologici.

Diciamo subito che vanno immediatamente escluse eventuali condizioni mediche generali che potrebbero giustificare la presenza del disturbo. Una volta eliminate tali cause però è necessario utilizzare strumenti adeguati per far fronte al problema, in tempi più brevi possibile e con la più alta probabilità di efficacia. Presso i nostri centri non si interviene direttamente sul bambino ma si utilizzano esclusivamente trattamenti psicologici o educativi di tipo indiretto, offrendo ai genitori strumenti concreti e strategie chiare di comunicazione e comportamento per cercare di gestire e portare a remissione il disturbo in modo naturale, senza la presenza del minore e prevenendo così anche la sensazione da parte del bambino di essere malato o diverso. In pratica, anziché consigli molto generici, i nostri interventi mirano a dire al genitore "cosa dire" esattamente, "come dirlo" e "quando dirlo".

a cura di
Dott.ssa Letizia Maduli e
Dott. Marco Baranello
ultimo aggiornamento, 2 settembre 2016

come citare questa fonte

Maduli, M.L., Baranello, M.
(2016)
ADHD. Comprensione funzionale in psicologia emotocognitiva.

in Baranello, M. (a cura di) (2016)
Disturbo da deficit di attenzione e iperattività.
Diagnosi con il DSM-5, comprensione e trattamento.
SRM Psicologia, Progetto PRS, settembre 2016


Riferimenti Bibliografici

  • APA (2013) Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione (DSM-5), Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
     

  • Baranello, M. (2006) psicologia emotocognitiva: il loop disfunzionale. Psyreview.org, Roma 10 marzo 2006.


Versioni Precedenti

  • Maduli, L.M. (2006) ADHD. Diagnosi con il DSM-IV, comprensione e trattamento psicologico. SRM Psicologia, Progetto PRS, novembre 2006.

 
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