Premessa
La fobia specifica è
classificata dal DSM-IV (APA, 1994) sull'asse I nel gruppo
dei disturbi d'ansia ed è definita come la "paura marcata
e persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla
presenza o dall'attesa di un oggetto o situazione specifici
(per es. volare, altezza, animali, ricevere un'iniezione,
vedere il sangue, ecc.)".
Oltre a questa definizione generica, sempre seguendo le
linee guida offerte dal manuale diagnostico e statistico dei
disturbi mentali quarta edizione, per poter valutare la
presenza di una "fobia specifica" occorre rispettare altri
criteri. La persona che soffre di fobia specifica
(precedentemente definita fobia semplice), reagisce quasi
sempre con una risposta ansiosa di fronte allo stimolo
definito per l'appunto fobigeno. Questa risposta ansiosa a
volte può prendere forma di un vero e proprio attacco di
panico (o crisi d'ansia) sensibile a quella particolare
situazione.
Generalmente l'adulto con questo tipo di
disturbo si rende conto che la sua paura sia eccessiva o in
qualche misura irragionevole, mentre nei bambini questa
caratteristica può essere assente. Sempre nei bambini
l'ansia potrebbe manifestarsi in pianto, scoppi di ira,
irrigidimento o nell'aggrapparsi a qualcuno.
Nella maggior parte dei casi la
situazione (o più situazioni) fobigena viene
sistematicamente evitata e in alcuni casi viene sopportata
con estremi ansia o disagio. E' importante notare che
l'ansia è una risposta del tutto normale dell'organismo
mentre il disturbo d'ansia è una "cronicizzazione"
della risposta ansiosa che determina una certa "menomazione"
del funzionamento del soggetto che può essere a livello
persona, relazionale, sociale, lavorativo (oppure
scolastico). Se per assurdo la fobia non creasse disagio né
interferisse in qualche modo con il normale svolgimento
della vita del soggetto allora non sarebbe un disturbo.
Questo dato è importante perché per la prima volta ci
rendiamo conto che il "disturbo" non è di fatto una malattia
ma un'interferenza. Pertanto ipotizziamo che non andrebbe
curato in senso stretto ma corretto. Questa è soltanto
un'idea che sta iniziando a modificare l'approccio alla
comprensione scientifica del disturbi. Crediamo che lo
psicologo possa quindi intervenire attraverso strumenti
educativi o più specificamente psicoeducativi per finalità
terapeutico-riabilitative, quindi ripristinando un normale
funzionamento del soggetto senza ricorso a indagini del
passato o altre pratiche ormai anacronistiche seppur,
purtroppo, ancora ampiamente applicate in alcuni contesti
psicologici.
Tornando alla diagnosi ricordiamo che
nelle persone con un'età inferiore ai diciotto anni la
durata del disturbo dovrebbe essere di almeno sei mesi per
una valutazione clinica di fobia specifica. Naturalmente per
questo tipo di valutazione diagnostica dovrebbe essere
esclusa una diagnosi alternativa in grado di giustificare la
presenza dell'ansia, degli attacchi di panico o l'evitamento
fobico associati con l'oggetto o le situazioni specifiche.
Anche se in merito alle fobie c'è una
certa cultura che associa nel nomenclatore l'oggetto
fobigeno, così avremmo nomi di fobie come aracnofobia (fobia
dei ragni) emofobia (fobia del sangue) omofobia (fobia di se
stessi, e non fobia degli omossessuali che sia chiaro!!),
nella realtà diagnostico-statistica la fobia specifica è
distinta in pochi gruppi che il DSM-IV indica come i
seguenti:
-
fobia tipo animali. Se la
paura è provocata da animali o insetti. E' un sottotipo
che esordisce in genere durante l'infanzia.
-
fobia tipo ambiente naturale.
Se la paura è attivata da elementi dell'ambiente
naturale, come temporali, altezze, acqua. Come il
precedente è un sottotipo che esordisce nell'infanzia.
-
fobia tipo sangue-iniezioni-ferite.
E' specificato se la paura viene provocata dalla vista
di sangue o di una ferita, o dal ricevere un'iniezione o
altre procedure mediche invasive. E' un sottotipo con
un'alta familiarità, ed è di frequente caratterizzato da
un'imponente risposta vasovagale.
-
fobia tipo situazionale.
Questo sottotipo dovrebbe essere specificato nei casi in
cui la paura fosse provocata da una situazione
specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti,
ascensori, volare, guidare, oppure luoghi chiusi. E' un
sottotipo con una distribuzione dell'età di esordio
bimodale, con un picco nell'infanzia ed un altro picco
verso i 25 anni di età. Sembra simile al disturbo di
panico con agorafobia da diversi punti di vista:
distribuzione tra i sessi, concentrazione familiare, età
di esordio.
-
fobia di altro tipo. Sottotipo
da specificare nel caso la paura fosse scatenata da
altri stimoli come: la paura o l'evitamento di
situazioni che potrebbero portare a soffocare, vomitare
o contrarre una malattia; la fobia dello "spazio" (cioè
il timore di cadere giù se si è lontani dai muri o altri
mezzi di supporto fisico); e il timore nei bambini dei
rumori forti o dei personaggi in maschera.
I disturbi d'ansia sembrano essere i più
diffusi rispetto agli altri principali disturbi mentali. Nel
grande gruppo dei disturbi d'ansia le fobie sono
probabilmente le più comuni (agorafobia, fobia specifica,
fobia sociale).
Una persona con fobia specifica spesso teme solo
secondariamente la situazione o l'oggetto fobigeno, mentre
la paura principale sembra essere relativa all'attacco
d'ansia o di panico che potrebbe attivarsi in quella
situazione. Si sviluppa in genere ciò che in psicologia
definiamo ansia anticipatoria, che spesso viene definita
"paura della paura" ovvero il timore della sofferenza
primaria (secondo l'ottica della nostra idea di una
psicologia emotocognitiva) associata alla rappresentazione
fobigena. Si instaura, indipendentemente dalle ipotetiche
cause psicologiche remote, un sistema chiuso, un circolo
vizioso fatto di pensieri, percezioni, comportamenti,
relazioni, ecc. che mantiene e tende a cronicizzare il
disturbo. Nonostante i propri sforzi la persona continua a
soffrire dei propri sintomi, spesso con sensazioni di
"impotenza", di impossibilità a farcela. L'evitamento dello
stimolo non è una soluzione adeguata al problema ma risulta,
in qualche modo, essere quasi una condizione inevitabile. Lo
scopo della terapia psicologica è quello di produrre
l'effetto di evitamento dell'evitamento fobico ovvero
l'esposizione al sintomo ma senza che lo psicologo induca
questo nel paziente. La nostra idea è quella di evitare di
forzare l'esposizione della persona allo stimolo fobigeno
come invece fa la teoria cognitivo comportamentale. Secondo
la nostra ottica, che chiamiamo emotocognitiva, ciò che la
persona evita non è tanto l'oggetto ma l'idea di sofferenza
(che abbiamo definito sofferenza primaria, una sofferenza
che in realtà è nel qui-e-ora della manifestazione
sintomatologica del tutto inevitabile).
Riteniamo che l'intervento psicologico possa essere nella
maggior parte dei casi molto breve in quanto l'obiettivo
principale non sarebbe l'interpretazione della presunte "cause"
inconsce, subliminali o remote (che sono peraltro
arbitrarie, opinabili, spesso non verosimili e soprattutto
non dimostrate scientificamente nel loro legame con la
fobia!) ma la valutazione e il futuro intervento che stiamo
ora soltanto teoricamente proponendo dovrebbero basarsi sul ciò che nel qui-e-ora
continua a mantenere i sintomi del disturbo e su quei
comportamenti che potrebbero aggravarlo. Le "reali cause" del
problema secondo l'ottica della psicologia emotocognitiva
non possono risiedere nel passato ma, per una logica fisica,
nel qui-e-ora della manifestazione di disagio. Non vanno
confusi infatti gli elementi scatenanti con le vere cause
del problema. In questo stiamo costruendo un modello
sistematizzato che si allontana chiaramente dalle vecchie
impostazioni della psicologia filosofica. Crediamo che nel
prossimo futuro saremo in grado di proporre un modello
sempre più scientifico in grado di offrire una spiegazione
più chiara sulla genesi dei dsiturbi mentali e quindi un
trattamento pragmatico e soprattutto breve. Capire come
funziona per sapere come fare è il nostro obiettivo
dichiarato in questo momento di studio e ricerca.
Processi Emotocognitivi (una proposta
per una psicologia scientifica)
Dal punto di vista emotocognitivo
(termine che abbiamo creato per spiegare che aspetti
emotivi e cognitivi in realtà non sono scissi ma sono
meglio inquadrabili come un processo unitario definito
emotocognizione) si può pensare che la percezione che il
paziente fobico si crea anticipatamente rispetto alla
situazione alla quale va incontro produca un'eccitazione del
sistema nervoso centrale e periferico associata a sofferenza
che produce come reazione l'idea di evitamento di tale
"sofferenza primaria" associata alla situazione fobigena. La
risposta ansiosa attiverebbe quindi processi attentivi
(incrementano di tensioni centrali e periferiche) che
l'organismo cerca di risolvere per via motoria. Modificare
la rappresentazione fino al raggiungimento di un modello
neutro potrebbe aiutare a superare l'ansia anticipatoria e
per questo la nuova psicologia emotocognitiva vorrebbe
utilizzare tecniche psicoeducative atte a produrre una
spontanea (e non condizionata) dissociazione emotocognitiva
tra rappresentazione ed attribuzione di significato.
Tecniche di comunicazione associate a strumenti educativi
attraverso potrebbero nel futuro essere applicate tanto da
psicologi quando da altri professionisti sia della salute
che da educatori. Crediamo infatti che in pochi decenni
l'educazione scientifica orientata secondo la nostra ottica
emotocognitiva possa produrre un netto cambiamento sociale
se venisse applicata in contesti educativi primari e su
larga scala. L'obiettivo della ricerca è quella di debellare
molti disturbi e crediamo fermamente che questa possibilità
risieda proprio nell'educazione. L'educatore sarà la figura
per eccellenza nel prossimo futuro.
Prima della psicologia emotocognitiva sembrava che le
terapie d'elezione fossero tecniche di esposizione e la
psicoterapia cognitivo-comportamentale combinata con
esposizione oppure una combinazione tra terapia
farmacologica e psicoterapia. Per la fobia tipo
sangue-iniezioni-ferite sembra che siano stati ottenuti
buoni risultati con la tensione applicata ed esposizione (Fonagy,
P., Roth, A., 1996).
Secondo la nostra ottica In psicologia emotocognitiva invece
non si utilizza l'esposizione come tecnica ma esclusivamente
come effetto. In poche parole sarà la persona stessa che
sentirà la sensazione di procedere con l'azione naturale,
senza condizionamento! E' ovvio che il paziente che viene
per la fobia degli insetti vorrebbe non avere più paura
degli insetti ovvero desidererebbe che la vista o la
presenza dell'insetto non provocasse più panico o ansia
eccessiva. In genere, qualora l'insetto risultasse
ripugnante, continuerebbe a produrre tale effetto (diciamo
che non piace a nessuno una mosca nel proprio piatto) ma un
altro discorso è la reazione neurovegetativa dell'attacco di
panico, della crisi ansiosa, che interferisce seriamente nel
normale svolgimento della vita quotidiana così come tutte le
strategie e le condotte di evitamento.
Dal punto di vista emotocognitivo riteniamo che sia
possibile agire senza esposizione, senza psicofarmaci e
soprattutto senza vecchie forme di psicoterapia o altri
trattamenti su base filosofica. L'educazione come forma di
correzione dovrebbe essere non solo sufficiente ma anche uno
degli strumenti preferenziali per la soluzione in tempi
brevi di ansia, panico e fobie e soprattutto dovrebbe
permettere di trasferire l'impianto educativo anche
indirettamente. Educare una persona aiuterebbe anche le
persone intorno ad essa.
Tali principi sono in fase di studio ma il modello teorico
si sta già ben delineando e tra pochissimo tempo saremo in
grado di iniziare una ricerca-intervento applicando i
principi base della teoria emotocognitiva.
a cura di Marco Baranello
come citare questa fonte (norme
internazionali)
Baranello, M. (2001)
Disturbi d'ansia: fobia specifica.
SRM Psicologia Rivista - Psyreview.
Roma, 22 gennaio 2001.
Riferimenti Bibliografici
American Psychiatric Association APA
(1994) Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, IVa ed. (DSM-IV). Masson, Milano 1996.
Gabbard, G.O. (1994) Psichiatria
Psicodinamica. Nuova edizione basata sul DSM-IV. Raffaello
Cortina Editore, Milano 1995.
|