Ho già brevemente discusso in merito alla necessità di differenziare
tra loro i concetti di
Bisogno e Desidero. Sinteticamente con "bisogno"
indico una vera e propria necessità per un sistema (ad
esempio un organismo biologico) la mancata soddisfazione
della quale non
permetterebbe a quel sistema uno sviluppo e quindi un
mantenimento adeguato della propria vita. Il
"bisogno" è sempre attivo per tutta la vita e non
subisce alcuna variazione. Come ho già avuto modo di
spiegare il bisogno è invariabile, geneticamente stabilito e
quindi specie-specifico.
Con "desiderio" invece indicherei una richiesta
dell'organismo (o più ampiamente del sistema) verso un
oggetto specifico (oggetto del desiderio). Per "oggetto"
nella teoria emotocognitiva si intende tutto ciò che possa
essere in qualche modo rappresentato (rappresentazione
emotocognitiva).
Va da se che bisogni e desideri siano fortemente legati non
c'è una reale scissione ma una forma di regolazione.
Il bisogno di essere sfamato (o più tecnicamente bisogno di
nutrizione), per esempio, può sembrare
coincidere sempre con il desiderio di cibo (l'oggetto).
Nella teoria emotocognitiva non è così direttamente legato.
Lo stesso desiderio "ricerca di cibo" può essere sia legato
al bisogno di nutrizione sia legato ad altri bisogni. Un
errore interpretativo del legame tra bisogno e desiderio può
portare a errori di condotta, comportamento, comunicazione
anche del professionista della salute nei confronti del
paziente.
Occorre essere quindi adeguatamente formati nell'uso di una
nuova teorizzazione in ambito clinico. Una lettura
superficiale può creare problemi anziché risolverli.
Ricordiamo che la teoria emotocognitiva è un paradigma che
invita a focalizzare l'attenzione sui processi
organizzativi, sulle funzioni, più che sul contenuto
simbolico. Ci stiamo avvicinando a una nuova psicologia
scientifica.
Ho avuto modo di parlare direttamente con J. Lichtenberg,
autore di "psicoanalisi e sistemi motivazionali"
sull'argomento in quanto nell'introduzione al suo libro
sosteneva anche lui una certa differenziazione tra il
concetto di bisogno e desiderio. Devo dire che la sua
risposta alla mia domanda "quale sarebbe la reale differenza
secondo lei" è stata deludente perché ha liquidato
l'argomento con "è una semplice sfumatura linguistica".
Secondo me invece da questa apparente
sfumatura linguistica ritengo si possa comprendere molto.
Penso infatti che il desiderio sia sempre secondario (in
ordine di sviluppo) al bisogno. Una sensazione di fame
necessita ovviamente di cibo se lo vediamo da una posizione
aerea. Nella realtà emotocognitiva la necessità di
nutrizione (bisogno di nutrizione) necessità semplicemente
di regolazione ovvero di ripristinare dei valori venuti
meno. Quindi il bisogno di nutrizione (sempre esistente) può
associarsi a molti oggetti diversi in grado di soddisfarlo.
Il desiderio è altamente variabile, il bisogno no.
Il desiderio relativo all'oggetto che produrrà la
soddisfazione del bisogno, prenderà il posto della necessità
in virtù della ripetizione delle esperienze positive di
regolazione dell'esigenza fisiologica.
Il bambino che ha fame, in virtù delle sue esperienze
precedenti, potrà quindi desiderare dapprima la persona che
lo sfamerà e, successivamente, l'oggetto cibo, soltanto per
portare un esempio semplicificato. Se il
bisogno e il desiderio coincidessero, allora non ci
sarebbero particolari gusti o preferenze (sappiamo però che
i pubblicitari cercano di solleticare i nostri desideri più
che i nostri bisogni).
Il desiderio permette all'organismo di orientarsi, di
adattarsi al contesto e di adattare il contesto a sé.
Il bisogno e la sua positiva soddisfazione sono necessari
affinché il desiderio si sviluppi in modo funzionale alla vita
dell'organismo.
Il problema si pone nel caso di mancata soddisfazione del
bisogno di base o soddisfazione inadeguata o parziale (più
o meno positiva/negativa).
Ricordiamo una cosa semplicissima. Il neonato non ha
rappresentazione di oggetti come il cibo, ha dei riflessi.
Imparerà ad avere desideri e tali desideri si modelleranno
in funzione dell'ambiente. Quel neonato ha però dei bisogni,
delle necessità biologicamente fondate, invariabili per
tutta la vita!
Proviamo per un momento a immaginare l' eziopatogenesi di una
patologia alimentare come il disturbo da abbuffate
compulsive (binge eating disorder)
utilizzando, per scopi meramente didattici, il bisogno di
nutrizione e quello di attaccamento come unici parametri,
annullando momentaneamente gli altri bisogni. La nostra
teoria rispetto alla genesi dei disturbi mentali non è
proprio così semplificata come stiamo presentando, questo
modello eziopatogenetico è soltanto utilizzato come esempio
per spiegare la genesi dei desideri (funzionali e
disfunzionali) a partire dalla necessità biologica e
dall'incontro con l'ambiente.
Un bambino nasce e inizia a sperimentare l'ambiente
attraverso diversi canali sensoriali. Immaginiamo
la prima sensazione di fame (il bambino non la può ancora
rappresentare ovviamente). Nell'organismo c'è una variazione
che produce una sofferenza (che nella teoria emotocognitiva
definiamo primaria) e quindi la reazione fisiologica di pianto
(ad esempio). La reazione ambientale potrebbe essere
l'intervento della madre che nutre in maniera soddisfacente.
L'esperienza si ripete quotidianamente per mesi. La madre
però, ogni volta che il bambino piange, lo nutre o lo
cambia. Non gioca con lui, non lo trastulla in braccio, non
lo coccola sufficientemente, non lo tiene in modo adeguato. Ogni segnale del bambino viene
interpretato dalla madre come una necessità di essere
sfamato. In pratica l'ambiente non riconosce il bisogno di
"attaccamento" ad esempio ma interpreta erroneamente ogni
segnale come "fame" (bisogno di nutrizione).
Questa esperienza si ripete così, sempre. Il bambino
cresce. Quando è triste o fa i capricci la madre lo coccola
con un cioccolatino anziché prenderlo in braccio o
giocarci. Il bambino inizia a chiedere sempre dolci,
cioccolatini, carezze sostitutive.
Quello che ipotizziamo è questo. Il bambino che fa una
simile esperienza potrebbe interpretare una sua necessità
di attaccamento o una sua necessità esplorativa come
bisogno di cibo, quindi tenderebbe a cercare questo tipo di
oggetto nel tentativo (che risulterà vano) di soddisfare un
bisogno emergente di nutrizione. In pratica si sarebbe verificato un'associazione
emotocognitiva tra il bisogno, ad esempio, di attaccamento e il desiderio
dell'oggetto dell'attaccamento male-introiettato come cibo.
Quindi il bambino potrebbe desiderare cibo per soddisfare un
bisogno completamente diverso da quello adeguato. La mancata soddisfazione del
bisogno (o la parziale soddisfazione) causata dal desiderio dell'oggetto sbagliato a tal
fine, potrebbe portare ad una ricerca affannosa di cibo come
se ci fosse un "buco" da riempire, come se ci
fosse una lacuna incolmabile (non essere cioè mai veramente
soddisfatto). Questo non nascerebbe da un "deficit di
accudimento" come indicano alcune teorie né da un conflitto
con l'ambiente. All'interno dell'organismo ci sarebbe invece
un'attivazione di pattern di azione che devono essere
liquidati. L'azione però non riesce a produrre un ripristino
dei processi e quindi l'organismo tende a riattivare i
pattern di azione producendo un circuito chiuso, una sorta
di loop che risulterà disfunzionale.
Un desiderio ricordiamo si lega a sua volta ad altri
desideri fino a formare un range ampissimo di "oggetti"
(della realtà condivisa o meno) ovvero di rappresentazioni
che definiranno lo stile organizzativo del sistema.
Andiamo a semplificare: --> necessità (essere sfamato,
bisogno di nutrizione) --> desiderio (cibo
a-specifico) --> desiderio (cibo specifico) -->
desiderio (denaro per acquistare il cibo specifico) -->
ecc.
In pratica il desiderio "denaro per acquistare cibo" sarebbe
un desiderio secondario funzionale a un altro desiderio
secondario (cibo specifico) funzionale al desiderio primario
(cibo) funzionale alla soddisfazione del bisogno di base.
Mentre seguendo una linea di sviluppo auspicabile nella
quale sia
avvenuta una sufficientemente buona soddisfazione dei
bisogni di base la risultante sarebbe una soddisfazione
reale, in caso di desiderio non funzionali la soddisfazione
del bisogno potrebbe non essere adeguata.
Avverto che nel parlare di bisogni non intendo singole
motivazioni fondamentali, non parliamo di motivazione ma
esclusivamente di necessità fisiologiche. La motivazione
nella teoria emotocognitiva è la direzione dell'azione.
Si inizia a comprendere che una linea di sviluppo di desideri successivi al primo
eventualmente male-interpretato, potrebbe distorcere e allontanare dal
bisogno di base che rimarrebbe insoddisfatto (o meglio non
adeguatamente soddisfatto) aumentando le probabilità di uno
sviluppo non completamente sano del sistema interessato.
Implicazioni Cliniche
Introdurre esclusivamente una
differenziazione concettuale potrebbe risultare sterile, se
non venissero indicate almeno le linee della sua
applicazione nella pratica clinica.
Ho ipotizzato dei bisogni di base sui quali potrebbero
costruirsi dei desideri non funzionali ad un sano sviluppo
del Sé. Questa differenziazione concettuale all'interno
della teoria emotocognitiva potrebbe trovare applicazione
anche in altri ambiti d'intervento. Sia a livello
psicologico nella pratica clinica, sia in ambiti più
filosofici come la psicoanalisi o le teorie psicodinamiche
classiche, sia a livello organizzativo aziendale o
politico-sociale su larga scala. Credo fermamente in una
nuova educazione emotocognitiva che possa entrare nei
contesti pedagogici e psicopedagogici di base.
Mentre il mio personale obiettivo è l'applicazione
nell'intervento psicologico clinico, cercando di ridurre i
tempi di terapia psicologica e soprattutto cercando di
produrre reali soluzioni di sintomi e disturbi visto che le
vecchie terapia o ancora peggio la vecchia psicoterapia non
hanno prodotte grandi opportunità di soluzione, mi rendo
comunque conto che attualmente ancora tantissime persone si
affidano a psicoanalisi, psicoterapia
cognitivo-comportamentale o abbinato una psicoterapia a
psicofarmaci. Pertanto cercherò per il momento di suggerire
agli psicoanalisti o comunque a chi ancora applica queste
ormai anacronistiche terapia filosofiche una variazione
dell'approccio sfruttando questi principi emotocognitivi.
Un intervento di tipo psicodinamico, in linee molto
generali, potrebbe utilizzare punti nodali dello sviluppo
del paziente al fine di una ricostruzione condivisa (dai
partecipanti alla relazione) di quelle che sono state le
linee di sviluppo dei desideri non funzionali. La storia del
paziente sarà probabilmente ricostruita intorno ad alcuni
episodi (punti nodali) importanti ed emblematici di alcune
condizioni evolutive. Questi eventi fungeranno da modello
per la ricerca dei fattori che hanno contribuito allo
sviluppo disfunzionale di alcuni desideri, fino al
riconoscimento del bisogno di base non soddisfatto.
Questo potrebbe quindi permettere una modificazione della
memoria attuale (qui-e-ora) in termini di "emotocognizione" tale da offrire
al paziente gli strumenti necessari al riconoscimento dei
suoi bisogni di base. Su questo riconoscimento "emotocognitivo"
il paziente potrebbe essere in grado di sviluppare nuovi
desideri più funzionali per la soddisfazione delle proprie
necessità, aumentando le probabilità di tornare a essere
libero di autodeterminarsi.
Nel prossimo futuro crediamo di poter invece
applicare tali principi a una nuova tipologia di terapia
psicologica e interventi di consulenza educativa (counselling
educativo) che sia in grado di sbloccare il loop nel quale
il paziente si trova in modo molto breve ed efficace senza
più ricorso a farmaci e, speriamo, senza più ricorrere a
lunghe e statisticamente poco valide psicoterapie!
a cura di
Marco Baranello
Baranello, M.
(2001)
Differenziazione concettuale tra bisogni e desideri.
Implicazioni in psicologia clinica.
SRM Psicologia Rivista - Psyreview.
Roma, 02 febbraio 2001. |