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Breve Storia della Psicologia Emotocognitiva di Baranello
lo psicologo e scienziato italiano Marco Baranello spiega brevemente come nasce la teoria emotocognitiva
 

Abstract. In questo articolo Marco Baranello, psicologo e fondatore della teoria emotocognitiva, spiega come nascono le prime intuizioni della psicologia emotocognitiva a partire dai modelli classici fino alla ricerca-intervento. Questo articolo è focalizzato esclusivamente sulla genesi del pensiero emotocognitivo di Baranello che iniziava a formarsi durante gli anni degli studi accademici. Oggi la psicologia emotocognitiva è in netto contrasto con buona parte degli assunti della psicologia simbolista e assolutamente divergente, in ambito clinico-sanitario, con la classica psicoterapia. Per la psicologia emotocognitiva l’intervento clinico deve basarsi essenzialmente su processi psico-educativi. I disturbi vanno corretti, non sono malattie, anzi, la malattia mentale non esisterebbe affatto. La psicologia emotocognitiva focalizza l’attenzione sui processi di organizzazione psicofisiologica dell’organismo indipendentemente dal contenuto simbolico, agendo su sistemi antagonisti (attivatori-inibitori). Le intuizioni dell'autore e la sua incessante ricerca-intervento multi-disciplinare, hanno permesso di proporre un paradigma generale sul funzionamento sistemico noto come “teoria emotocognitiva” o “paradigma emotocognitivo”. La teoria emotocognitiva è modello generale sul funzionamento sistemico applicabile in più contesti, professioni e discipline e costituisce paradigma esplicativo del funzionamento dei sistemi organizzati. [redazione SRM Psicologia]

Le Origini della Psicologia Emotocognitiva

Le intuizioni che hanno portato allo sviluppo della teoria emotocognitiva, come modello esplicativo del funzionamento sistemico, si sono realizzate inizialmente all’interno delle scienze psicologiche. Alla base della genesi del modello teorico c'è l'integrazione tra le conoscenze acquisite durante gli iter formativi accademici, il confronto quotidiano con i colleghi interni alla disciplina, il confronto interdisciplinare e, durante gli anni di atttività clinica di psicologia, il rapporto clinico con il paziente nella costante ricerca-intervento portata avanti per anni dal sottoscritto e dal suo gruppo di ricerca. Quella emotocognitiva è una teoria che posso definire sistemico-relativista ad orientamento psicofisiologico, che focalizza la sua attenzione sui processi di organizzazione sistemica alla base del funzionamento normale e/o patologico (ovvero funzionale o disfunzionale) di un sistema preso come riferimento, in un’ottica integrata che J. Paris definirebbe bio-psico-sociale anche, se, nella realtà funzionale dell'organismo sarebbe più coerente definire psicofisiologica. La psicologia emotocognitiva ha mosso i suoi primi passi dallo studio delle teorie psicodinamiche, in particolare il “primo Freud” e l’intuizione di una possibile “logica” non appartenente ai sistemi logico-deduttivi positivisti, quindi di azioni indipendenti dal controllo volontario del soggetto, che svolgerebbero il ruolo fondamentale nelle scelte oggettuali degli individui. In realtà la teoria emotocognitiva è molto distante dalla psicoanalisi in quanto tale. Infatti mentre la psicoanalisi ha spostato il focus dell'attenzione sul contenuto simbolico la psicologia emotocognitiva ha riportato l'attenzione sul "processo" organizzativo psicofisiologico prendendo nettamente le distanze dall'interpretazione simbolica. Le intuizioni freudiane iniziali vengono completamente reintrpretate a livello scientifico ed ho preferito ridurre la complessità dei fenomeni osservati a un modello basato sui sistemi funzionali I-V (Sistema Involontario / Sistema Volontario). In psicologia emotocognitiva si tenta di ridurre così l’apparente complessità dei fenomeni “psichici” ai processi che sono alla base del funzionamento del sistema preso come riferimento. E' pertanto piuttosto chiaro il viraggio da "lo studio dei contenuti" a "lo studio dei processi".

La psicologia emotocognitiva propone inoltre di utilizzare un metodo d'intervento prettamente psicoeducativo, finalizzato alla prevenzione e alla riabilitazione funzionale, per cui la complessità dei contenuti simbolici, dei fenomeni e delle rappresentazioni di un sistema di riferimento, viene inquadrata all’interno dei processi che li sostengono; ciò rappresenta una sostanziale differenza dai metodi psicoanalitici e, più in generale, dai metodi psicodinamici, che invece utilizzano metodologie per le quali da un fenomeno si apre un ventaglio interpretativo che scompone (appunto analisi) i contenuti simbolici in altri elementi simbolici a loro volta attraverso interpretazione, libere associazioni, etc. Ciò non avviene assolutamente nell’applicazione della teoria emotocognitiva alla clinica psicologica. Nessun tipo di interpretazione simbolica, nessuna interpretazione dei sogni, nessuna forma di ipnosi, nessuna attenzione a concetti astratti di trauma psichico e nessuna attenzione a pseudo-legami causa-effetto tra eventi e psicopatologia.

C’è, e lo voglio ribadire per l'ennesima volta, un viraggio importante dai "contenuti" ai "processi". Un cambiamento di ottica netto che ha permesso d'intervenire anziché sulle “differenze individuali” di tipo simbolico sulle “uguaglianze funzionali” portando così l’intervento psicologico a essere più tecnico e con basse interferenze della soggettività del clinico. La psicologia emotocognitiva quindi non parla affatto di “strutture di personalità” o di concetti astratti come “il profondo” o altri simbolismi; l’attenzione degli psicologi emotocognitiva è prettamente sui processi attuali, agenti nel qui-e-ora, di organizzazione sistemica. Per la scuola di pensiero emotocognitiva, inoltre, ogni metodo o teoria che tenda alla scomposizione degli elementi nelle sue ipotetiche costituenti porterebbe alla perdita dei processi organizzativi intracostituenti. Una metafora tecnica può aiutare a comprendere la nostra posizione. Nella Serie di Fourier, ad esempio, una forma periodica (es. frequenza) è costituita da infinite armoniche quindi se si “scomponesse una frequenza” (analisi) nelle sue armoniche, per poi poterla ricomporla matematicamente occorrerebbe utilizzare un numero di armoniche infinito.

Concettualmente inoltre mi sono spesso riferito alla differenza tra sistemi analogici e digitali. I primi sono lineari mentre i secondi necessariamente discreti; significa che buona parte dell’informazione necessaria per la ricomposizione della forma analogica originaria va persa durante i processi di conversione o scomposizione. La scomposizione, secondo il nostro modello, può essere utilizzata soltanto in processi meccanici o digitali. E’ possibile infatti scomporre i pezzi di un’automobile, sostituirli, cambiarli, e ricomporre il tutto con una altissima probabilità di funzionamento. Non è possibile attualmente fare altrettanto con un organismo umano né con un organismo sociale. Nei trapianti, ancora per esemplificare, è necessario sempre tenere in considerazione il concetto di “rigetto” che dimostrerebbe ancora limiti nella conoscenza rispetto ai processi organizzativi sistemici. In psicologia emotocognitiva ci siamo posti come limite la non completa conoscenza dei processi organizzativi intrasistemici. Il riconoscimento di tale limite ha indotto a evitare da subito l’uso di interpretazioni simboliche delle rappresentazioni proposte dal paziente avvicinandosi a ciò che Litchenberg sintetizza in “il messaggio contiene il messaggio”.

Non più contenuti, non più simbolismo, non più soggettivismo come strumento di cura, ma maggiore attenzione ai processi organizzativi psicofisiologici comuni. Si lavora quindi sulla complessità dei processi di organizzazione, indipendentemente dal contenuto simbolico. Non si focalizza l’attenzione quindi sui contenuti del passato o sugli elementi scatenanti pregressi ma sulle cause immediatamente a monte della modificazione psicofisiologica attuale. L'attenzione è quindi sui processi di mantenimento del problema nell’esatto qui-e-ora nel quale avvengono. Lo stesso concetto di "causa" in psicologia emotocognitiva è considerato agente nell'esatto qui-e-ora della manifestazione disfunzionale. La teoria emotocognitiva distingue nettamente la reale causa dagli elementi scatenanti. In questo si è accolto anche il concetto di “nachträglickeit” per cui la memoria verrebbe ritrascritta a partire dal contenuto dell’esperienza successiva. Questo dimostrerebbe come, relativamente al sistema che esperisce, il “passato storico” non esisterebbe così com’è. Per la psicologia emotocognitiva, quindi, il “contenuto del passato” esiste solo sotto forma di ricordo. Ma il ricordo è esclusivamente un’esperienza psicofisiologica attuale che si svolge nel momento esatto in cui avviene. Vediamo quindi l’organismo nel suo complesso funzionamento attuale lavorando sui processi alla base delle sue funzioni.

Questo ha permesso di ridurre notevolmente i tempi del trattamento, in termini di sedute, avvicinandosi a quello che l’OMS (WHO) ha proposto in tema di accessibilità ai servizi di salute mentale. Una riduzione dei tempi del trattamento ed un miglioramento dell’efficacia a lungo termine, permette sia un miglioramento della salute e del benessere della persona e della propria comunità sia una riduzione della spesa sanitaria.

Rimanendo all’interno dei modelli psicodinamici e in particolare della psicologia del Sé Kohutiana siamo più vicini al pensiero di Lichtenberg che, in “psicoanalisi e sistemi motivazionali”, propone di considerare un sistema motivazionale come costruito intorno a un bisogno. Ho avuto modo di avere un breve confronto diretto con Lichtenberg durante una conferenza, proprio sulla distinzione concettuale tra bisogni e desideri, espressa nell’introduzione del testo appena citato. Devo ammettere di essere rimasto piuttosto deluso dalla risposta del noto psicoanalista che, nonostante abbia scritto di una certa differenziazione tra bisogni e desideri, in realtà ha risposta affermando che in fondo è soltanto una sfumatura linguistica. Anni di studi e ricerca mi hanno invece permesso di creare una chiara distinzione tra i due concetti riuscendo a definire una vera e propria psicologia dei bisogni e desideri dalla quale è poi nata la teoria emotocognitiva attuale.

La psicologia emotocognitiva infatti parte dal presupposto di una differenziazione tra i due concetti, definendo “bisogno” come una necessità di un sistema di riferimento costituzionalmente fondata (diremo biologicamente fondata per un organismo animale). I bisogni sono pochi, discreti e specie-specifici (forse con variazioni legate al genere) mentre i desideri sono legati a delle rappresentazioni definite “oggetti” e per questo possono ipoteticamente essere infiniti. Le azioni svolte da un sistema di riferimento, in relazione ai propri bisogni e desideri (più o meno funzionali), definiscono il modo in cui il sistema si organizza per il proprio sviluppo e mantenimento. Infatti uno degli assunti di base della psicologia emotocognitiva è proprio il concetto che ogni sistema tende ad organizzarsi con obiettivi di sviluppo.

Il concetto di relativismo e le ottiche costruttiviste hanno permesso di focalizzare l’attenzione, in sede d'intervento, su sistemi “discreti” (ovvero presi di volta in volta come riferimento), l’ottica di base rimane comunque olistica ma nel trattamento è necessario definire un sistema di riferimento, quindi un sistema discreto rispetto alla complessità del “tutto”. Definito un sistema di riferimento (che nel caso dell’intervento coincide con il committente) lo psicologo a orientamento di psicologia emotocognitiva valuta le modalità di organizzazione ovvero le interazioni tra i propri costituenti e le interazioni con altri sistemi inseriti in quello che in teoria emotocognitiva ho definito “campo di esperienza”. A questo punto lo psicologo emotocognitivo, nel suo interevento clinico-sanitario, tenta di valutare quei processi ridondanti, che ho definito da diversi anni attraverso il concetto emotocognitivo di “loop disfunzionale” (Baranello, 2006a). Si tratta di un insieme di azioni volontarie (o semivolontarie) di un sistema messe in atto con l'obiettivo di ridurre lo stato di sofferenza primaria (Baranello, 2006b) auto-percepito relativamente a situazioni stimolo ma che, in realtà, non producono l'effetto sperato ma anzi mantengono o peggiorano la situazione. Il concetto di Loop Disfunzionale, come i concetti di sofferenza primaria e secondaria o lo schema educativo noto come ABC emotocognitivo sono oggi diventati di dominio pubblico, unico neo è che fin troppo spesso chi utilizza tali concetti dimentica di citare la fonte originale. Questo atteggiamento poco etico di alcuni membri della comunità scientifica può creare seri danni in quanto l'uso del concetto non può essere soltanto "nominale" ma andrebbe sostenuto da una conoscenza più approfondita. Purtroppo il lettore difficilmente potrà distinguere se l'uso di alcune terminologia sia collegato alla reale conoscenza delle stesse.

Anche se il concetto del Loop Disfunzionale e dei sistemi Involontario e Volontario può sembrare a prima vista simile al concetto Adleriano S-O-R ripreso anche da Albert Ellis che sostiene che un individuo reagisce al proprio sistema di convinzioni che, spesso, sono arbitrarie (ottica costruttivista), ne differisce in quanto l’organismo non viene considerato centrale ma, una volta definito come sistema di riferimento, viene considerato “superiore” ed entità unitaria. Una valutazione delle tecniche già applicate nelle teorie cognitive e comportamentali (paradosso, desensibilizzazione, esposizione,..) e nelle teorie strategiche che fanno leva sulle intuizioni derivate dagli studi sulla pragmatica della comunicazione, hanno permesso di individuare delle convergenze tra diversi modelli teorici e prassi cliniche e allo stesso tempo di notare delle lacune conoscitive non indifferenti. Infatti nelle terapie cosiddette empiriche manca spesso un substrato teorico sistematizzato. La teoria emotocognitiva integra la teoria che deve rendere ripetibile l'esperienza con l'empirismo.

L’integrazione di tutte le conoscenze acquisite con nuovi collegamenti e intuizioni (l’orginalità del modello sta infatti nella modalità attraverso la quale gli elementi costituenti sono stati integrati attraverso nessi) hanno permesso l’elaborazione di un modello esplicativo integrato che ha preso il nome definitivo di “teoria emotocognitiva” e la sua applicazione nelle scienze psicologiche è nota come "psicologia emotocognitiva". Il neologismo “emotocognitivo” nasce dalla fusione tra i termini “emozione” e “cognizione” che vengono considerati integralmente ed inscindibili. Non esisterebbero quindi emozioni e cognizioni ma esclusivamente una "emotocognizione". E' molto complesso vivere realmente tale cambiamento di ottica e credo davvero saranno necessari alcuni secoli affinché questo modo di vedere sia semplice per tutti.
E' stato difficile comprendere la teoria evoluzionistica e ancora oggi non tutti ne sono convinti, così come non è ancora naturale pensare in termini relativistici e ancora si utilizzano i concetti deterministi. Insomma un cambiamento così importante e così diverso da ciò al quale siamo comunemente abituati non è di facile digeribilità soprattutto quando molti ancora credono che nulla possa essere scoperto e che quasi tutti si sappia.
Troppo spesso la verità stenta a venire a galla perché, nonostante la sua semplicità e ovvietà, si scontra con sistemi di convinzioni errate fortemente radicate. Il problema delle errate convinzioni vissute come vere è ben spiegato da molti esempi e metafore tra le quali una delle più note è quello della Teiera di Bertrand Russell.

Il netto cambiamento di ottica e il viraggio dalle posizioni concettuali che distinguevano fenomeni quali emozione e cognizione alle nuove posizioni emotocognitive che invece parlano di un unico processo psicofisiologico definito emotocognizione, ha permesso di produrre diversi concetti come quello di “memoria emotocognitiva” il quale ha favorito la spiegazione sia dei processi alla base della produzione sintomatologica sia dei processi alla base del cambiamento in ambito clinico. Grazie al modello esplicativo I-V (Involontario-Volontario) che ho proposto per la prima volta in modo ben definito nel 2004 (anche se c'erano cenni in articoli precedenti) dalla e grazie all’integrazione con la teoria dei “pacemakers” proposta da Pribram (attivazione, segnali di avvio e di stop) ripresa anche dallo psicofisiologo V. Ruggieri, è stato possibile spiegare la maggior parte dei fenomeni sani e patologici e a intervenire efficacemente per la remissione (parziale e/o completa) di tutti quei disturbi psicologici non dovuti a condizioni mediche generali.

Tutti i riferimenti scientifici nonché i nessi logici tra i diversi riferimenti (processi integrativi) della psicologia emotocognitiva sono spiegati durante convegni, corsi di formazione, attività divulgative, scambi e confronti con la comunità scientifica. E’ un modello in continuo sviluppo, aggiornamento e revisione. La psicologia emotocognitiva si muove quindi in continuità e in integrazione con diversi ambiti disciplinari. Non possiamo non ricordare il sostanziale contributo che ha avuto quel gruppo di ricerche oggi noto come “infant research”; gli studi di Stern, Lachman, Beebe sui processi di Sintonizzazione; il concetto di decodificazione imitativa proposto da V. Ruggieri, etc. I contributi scientifici che hanno portato sia per convergenza che per divergenza allo sviluppo dei fondamenti della psicologia emotocognitiva sono molteplici e non limitati al solo ambito della disciplina di psicologia.

Questa è la psicologia emotocognitiva e più ampiamente la teoria emotocognitiva, un corpus di conoscenze unitario multi-disciplinare. Contributi importanti sono stati offerti dalla rivoluzione cibernetica, con i suoi concetti di feedback, e dallo studio dei concetti fisici e matematici utilizzati ad esempio nell’elettronica digitale e analogica soprattutto nella trasmissione dei segnali. Anche il confronto con cultori di materie giuridiche in ambito internazionalistico soprattutto l’ambito dei diritti umani e della tutela della biodiversità hanno permesso di capire come le conoscenze di più ambiti vengono utilizzate nel realizzare norme e convenzioni che poi influenzano l’intera organizzazione sociale. Tutto questo e altro non sintetizzabile ha portato allo sviluppo della psicologia emotocognitiva. Attualmente possiamo sostenere che gli assunti e le intuizioni della teoria emotocognitiva forniscano un modello fortemente “verosimile” del funzionamento sistemico rimanendo sempre in attesa di integrazioni grazie a nuovi studi in ogni branca della disciplina e delle ricerche in altri ambiti disciplinari, sempre in favore del progresso scientifico teso al miglioramento delle conoscenze generali ed al miglioramento del benessere dell’essere umano e lontani da ogni forma aprioristicamente conservativa che consideriamo non appartenente al pensiero scientifico.

a cura del
Dott. Marco Baranello

riferimento bibliografico per citare questa fonte:

Baranello, M. (2012)
Breve storia della psicologia emotocognitiva di Baranello.
Psyreview.org, Roma 12 marzo 2012

Bibliografia di Riferimento

Baranello, M. (2006a) Psicologia emotocognitiva: il loop disfunzionale. Psyreview.org. Roma, 10 marzo 2006.

Baranello, M. (2006b) I concetti di sofferenza primaria e sofferenza secondaria in psicologia emotocognitiva. Psyreview.org. Roma, 26 giugno 2006.

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