In tanti anni di esperienza nel campo della
clinica psicologica abbiamo constatato che
difficilmente una persona con una diagnosi
di disturbo borderline di personalità si
reca direttamente da uno psicologo per il
"disturbo di personalità". La caratteristica
più comune dei disturbi di personalità è
l'essere "egosintonici", vale a dire che la
persona che ne soffre non pensa che il
proprio modo di pensare, agire, comportarsi
nei confronti di sé stesso e degli altri sia
indicazione di un "disturbo psicologico" ma
che sia una semplice propria caratteristica.
L'espressione più comune che genitori,
partner, amici e ovviamente anche lo
psicologo o l'educatore sentono pronunciare
è "sono fatto così", spesso con l'aggiunta
di "prendere o lasciare!".
Finché stiamo parlando di un tratto di
personalità, quindi di una caratteristica
che non influenza il normale svolgimento
della vita del soggetto, ci può stare.
Quando però parliamo di un disturbo vero e
proprio le cose cambiano notevolmente.
Non si tratta di una questione semplice da
affrontare e, ricordiamolo bene, non è
neanche una condizione che la persona
sceglie volontariamente. Significa che non è
sufficiente dare spiegazioni o mettere la
persona di fronte alla realtà, come se
"rendersi conto" fosse la soluzione al
problema. Spesso infatti genitori e partner
pensano che la persona non si renda davvero
conto del proprio comportamento. Beh, non è
così. La persona con disturbo borderline di
personalità è perfettamente in grado di
intendere e di volere, è perfettamente
conscia del proprio comportamento e più
volte cerca anche di "cambiarlo" senza
ovviamente riuscire. Questo perché, come ben
spiega la psicologia emotocognitiva, quello
che si innesca è una sorta di circuito
chiuso per il quale le nostre azioni,
pensieri e comportamenti tesi a risolvere il
problema in realtà sembrano aggravarlo.
Questo circuito chiuso prende il nome di
"Loop Disfunzionale" (Baranello, 2006).
Nel caso del disturbo borderline di
personalità il soggetto presenta uno "stile"
disfunzionale ben radicato già dagli inizi
dell'adolescenza. Questo porta a credere che
si tratti di una modalità di agire non
modificabile, di una caratteristica
peculiare di sé stessi. Il problema per il
soggetto con diagnosi "borderline" è più
spesso legato "agli altri". Il soggetto
tende così a "cadere in piedi" rimandando la
maggior parte dei propri problemi alle
persone con le quali è o viene in contatto.
I familiari sono i primi a essere
trasformati in "capri espiatori" di tutti i
mali.
Esistono famiglie in condizioni psicologiche
o sociali molto complesse e con una tendenza
allo sviluppo di psicopatologia ma non è
sempre così, tutt'altro. Nella maggior parte
dei casi non c'è un substrato familiare
patologico e la famiglia (sia composta da
uno o da entrambi i genitori) risulta sana e
comunque nella norma.
Un figlio con "disturbo borderline di
personalità" non è il risultato di una
"colpa" dei genitori nell'accudimento e non
è sempre legato a fatturi traumatogeni o
abusi come si pensava un tempo.
Vecchie scuole psicologiche o meglio vecchie
filosofie che purtroppo ancora dominano
molto del nostro panorama educativo hanno
portato a credere che un problema
psicologico abbia quasi invariabilmente
origine da problemi legati all'ambiente
familiare. L'errore non è legare l'ambiente
allo sviluppo sano o patologico ma è quello
di associare un "problema familiare" a un
"problema del figlio". Questa è una errata
convinzione.
Quello che avviene in realtà è che ad un
certo punto, a una modificazione della
comunicazione o del comportamento, non
sempre abbiamo gli strumenti conoscitivi
adeguati per rispondere in modo efficace e
funzionale. E' in questa condizione che si
può innescare una modalità di comunicazione
non funzionale.
Quello che un genitore si trova
improvvisamente a vivere quando si iniziano
a sviluppare le prime caratteristiche di un
comportamento "borderline" è una perdita
della propria capacità di agire un certo
potere. Il proprio figlio, ricordiamo che
nella maggior parte dei casi si tratta di
figlie essendo il disturbo borderline
nettamente più frequente nelle donne, inizia
a non rispondere più alle richieste
familiari, è impulsivo, intollerante,
incapace di gestione e organizzazione,
diviene in sostanza incontrollabile.
La paura iniziale è spesso legata al
rendimento scolastico, sono persone che
raramente tendono a mantenere un livello
adeguato di preparazione, sembrano anzi
voler lasciare la scuola e comunque non si
dedicano molto allo studio e alla
preparazione, alcuni continuano negli studi
ma senza una grandissima dedizione. Ben
presto però le preoccupazioni si spostano su
altro, l'uso di sostanze di abuso (alcool,
cannabis, cocaina o altro), i comportamenti
aggressivi a volte molto violenti, il
pensiero suicidario o le condotte autolesive
come procurarsi tagli sulle braccia (come se
si volesse tentare il suicidio) e a volte
tentativi di suicidio vero e proprio.
Impulsivi e incontrollabili su tutti i
fronti. Sono frequenti anche episodi di
problemi alimentari in particolare condotte
impulsive come le abbuffate o sintomi di
bulimia, molto più raramente anoressia.
Altra questione sono anche le condotte
sessuali nonché problemi con la propria
identità.
Quando parliamo del disturbo borderline di
personalità non stiamo parlando quindi di
pochi tratti, di qualche accenno
all'aggressività o di qualche tendenza a una
visione pessimistica della vita. Non è
neanche un saltuario uso di qualche sostanza
che deve far pensare a questo disturbo. Il
disturbo borderline di personalità ha
manifestazioni piuttosto importanti e gravi
che possono essere diagnosticate soltanto a
partire dalla prima età adulta anche se i
sintomi possono evidenziarsi già all'inizio
dell'adolscenza.
Visto che il paziente con diagnosi di
disturbo borderline di personalità tende a
non richiedere un intervento di tipo
psicologico, né un intervento educativo e
visto che ogni tentativo di convincerli
fallirebbe, nel corso degli anni siamo
riusciti a mettere a punto degli strumenti
d'intervento di tipo indiretto rivolti
sopratutto al genitori.
Nella maggior parte dei casi l'intervento è
diretto alla madre, questo perché il
rapporto tra madre e figlio è quello che
presenta le maggiori opportunità di essere
mantenuto. Il trattamento indiretto può
essere sia di tipo psicologico che ti tipo
prettamente educativo. L'obiettivo è fornire
al genitore strumenti conoscitivi e
strategie di comunicazione e comportamento
per permettere di gestire e modificare la
situazione. In pratica quello che manca al
genitore è esclusivamente il "sapere come
fare".
La terapia psicologica indiretta o
l'intervento educativo prevedono entrambi
che il proprio figlio non sappia che il
genitore si stia rivolgendo a qualcuno e che
ci siano tra il genitore e il figlio dei
rapporti. L'ideale è che il figlio viva
ancora sotto lo stesso tetto con il genitore
che richiede l'intervento.
Questa modalità di intervento è quella che
ha permesso di ottenere il più alto tasso di
successo nella gestione e nella remissione
dei comportamenti impulsivi favorendo la
strada a un cambiamento nel figlio.
In pratica per ottenere un certo successo è
necessario che il genitore segua le
indicazioni pratiche del professionista (psicologo o educatore). Il professionista
esperto in teoria emotocognitiva (il modello
di riferimento per questa tipologia di
interventi utilizzato nei nostri centri)
mira a fornire
infatti le strategie concrete di
comunicazione, indicando cosa dire, come
dirlo e quando dirlo. Non si tratta soltanto
di indicazioni generiche saranno indicazioni
molto pragmatiche e basate sullo studio
della comunicazione che intercorre tra
genitore e figlio. In genere un ciclo
d'intervento si compone di tre momenti
principali. Una prima fase di valutazione
della comunicazione tra genitore e figlio,
una seconda fase di educazione scientifica
sul processo di funzionamento con
indicazione delle strategie di comunicazione
e comportamento e quindi una verifica
costante delle variazioni ottenute e
un'ultima fase di consolidamento e
mantenimento dei risultati. Un ciclo si
compone mediamente di 10-15 incontri dei
quali soltanto i primi 4 o 5 si svolgono a
cadenza fissa (una volta a settimana o una
volta ogni due settimana a seconda dei casi)
per poi aumentare la distanza tra un
appuntamento e l'altro sempre di più (dopo
due settimane dall'ultimo, poi dopo tre, poi
dopo un mese e così via). Un protocollo
ormai consolidato e applicato già dagli
inizi del 2003 che ha permesso attraverso
dei cambiamenti nel sistema di promuovere
buone prassi e quindi un importante
cambiamento, in senso funzionale, nei
comportamenti del proprio figlio.
E' necessario ancora una volta essere molto
chiari. Un disturbo non è una malattia, non
va curato in senso classico, un disturbo va
più efficacemente corretto. Correggere un
disturbo come il disturbo borderline di
personalità esige un certo impegno da parte
del genitore, un impegno che offrirà
opportunità di soluzione offrendo di nuovo
potere di gestione al genitore di un figlio
con diagnosi di disturbo borderline di
personalità.
a cura di
Dott.
Marco Baranello
Roma, 24 novembre 2016
come citare questa fonte
Baranello, M. (2016)
Interventi educativi per genitori di un
figlio borderline. Come aiutare.
SRM Psicologia Psyreview, Pavia, 24
novembre 2016 |