RISPOSTA. La domanda è
molto generica quindi parleremo in linee generali.
Ogni caso necessita sempre di una specifica valutazione.
Lo psicologo di riferimento può decidere, qualora ne
ravvisasse l'utilità, sempre con il consenso verbale o
scritto del paziente soprattutto se maggiorenne, di
incontrare uno o entrambi i genitori (ogni caso viene
valutato dal clinico) al fine di spiegare quali
comportamenti possono essere utili o quali andrebbero
evitati. Presso i nostri centri in genere sconsigliamo che
lo stesso psicologo il quale ha in
trattamento una persona possa vedere anche i
genitori per fornire indicazioni su come
comportarsi.
In linee generali, qualora non fosse specificato
diversamente dallo psicologo di riferimento, il
ruolo della famiglia è quello di comportarsi in modo del
tutto normale ovvero non considerare il proprio figlio come
"problematico". Una pressione costante di un genitore come
all'opposto una completa indifferenza, generalmente non
aiutano.
Uno degli "errori" più comuni, ad esempio, è quello
di cercare di esercitare un controllo diretto anche su
azioni e decisioni normali del proprio figlio maggiorenne
che, in assenza di problema, non si attuerebbero.
Ad esempio
è molto comune che alcuni genitori impediscano a un figlio
con un problema d'ansia di svolgere alcune attività anche
normalissime. Ovviamente evitare situazioni lavorative,
sociali, scolastiche ecc. che prima del problema si
svolgevano normalmente è causa diretta del mantenimento del
problema. In psicologia emotocognitiva non vale la regola prima risolvo poi
agisco ma esattamente il contrario: "agisco quindi risolvo".
Ovviamente questa apparente linearità
dell'affermazione è squisitamente
orientativa. Infatti la psicologia
emotocognitiva ha da anni dimostrato che non
è in sé lo svolgimento dell'azione inibita
che porta alla soluzione del problema, ma il
cambiamento di azione rispetto alla
percezione di sofferenza primaria.
Sappiamo oggi che qualora si inibissero azioni che in
assenza di problema si svolgerebbero questo può portare al
mantenimento della sintomatologia a lungo termine e quindi
interferire con i programmi di riabilitazione. Nella maggior
parte dei casi, in assenza di comportamenti con rischio
diretto per la salute e la vita del soggetto, va garantita
una normale autonomia decisionale del figlio soprattutto
maggiorenne.
L'obiettivo di ogni professionista è sempre la tutela della
salute della persona in carico. A volte è possibile che ci
siano anche tentativi di ingerenza da parte di alcuni
familiari nell'attività di trattamento svolta dallo
psicologo. In questi casi lo psicologo emotocognitivo, in genere, propone
l'interruzione del trattamento in quanto non ci sarebbero i
presupposti per ottenere benefici dal proseguimento del
trattamento.
Ovviamente, è bene ribadirlo, ogni caso va valutato nello
specifico ed è sempre utile chiedere direttamente al
professionista di riferimento.
I comportamenti “anomali” (in quanto diversi da quelli messi
in atto fino ad allora) del figlio adolescente rappresentano
infatti un tentativo di soluzione del ragazzo a stati di
tensione generati dai processi maturativi psicofisiologici
sui quali influiscono anche fattori di ordine
socio-culturale. Mentre le soluzioni messe in atto dal sistema familiare per
risolvere le tensioni tendono principalmente a contrastare i
comportamenti “anomali”, ossia non più riconoscibili ed
accettabili dei figli. Questa modalità ha però l’effetto di incrementare conflitti
e tensioni.
Il rischio principale in questo processo di ricostituzione
di una condizione di benessere originario è quello di non
rendersi conto dell’inefficacia delle soluzioni adottate e
dell’impossibilità di ricostituire una condizione di
equilibrio ormai passata.
Questo tipo di organizzazione immette il sistema familiare
in quello che la psicologia emotocognitiva definisce “loop
disfunzionale”, ovvero un processo circolare e ridondante,
che può generare interazioni familiari rigide e
potenzialmente patogenetiche che possono mettere a rischio
la salute di uno o più componenti e, ovviamente, dell'intero
sistema familiare.
Le nuove tecniche della psicologia emotocognitiva
considerano il trattamento indiretto la forma di intervento
più efficace per la risoluzione di disagi, problemi e
disturbi riguardanti l’adolescente e la sua famiglia.
Il trattamento indiretto è un intervento breve e prevede
solo la presenza dei genitori (entrambi o uno solo secondo i
casi), il colloquio prende in considerazione unicamente il
problema riportato con l’obiettivo di valutare accuratamente
la situazione e di individuare delle modalità di
comunicazione e di comportamento efficaci a risolvere il
disturbo, interrompendo il loop disfunzionale (Baranello,
2006) che si è
creato tra i tentativi contrastanti di soluzione autonoma e
lo stabilizzarsi ed aggravarsi dei sintomi.
E’ importante richiedere un intervento psicologico
tempestivo in quanto un funzionamento disfunzionale del
sistema familiare protratto nel tempo può generare una
situazione a rischio patologico. L’intervento clinico non ha
come unico obiettivo il benessere del minore, ma anche, il
benessere psicofisico del genitore. |