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Aiutare un figlio con problemi già in cura da uno psicologo
terapia psicologica del disturbo di panico senza uso di psicofarmaci e senza psicoterapia
 

DOMANDA. Come possono i genitori aiutare un figlio maggiorenne, che comunque vive in famiglia, che sta in cura da uno psicologo? Quali sono i comportamenti che un genitore dovrebbe evitare?


RISPOSTA. La domanda è molto generica quindi parleremo in linee generali. Ogni caso necessita sempre di una specifica valutazione. Lo psicologo di riferimento può decidere, qualora ne ravvisasse l'utilità, sempre con il consenso verbale o scritto del paziente soprattutto se maggiorenne, di incontrare uno o entrambi i genitori (ogni caso viene valutato dal clinico) al fine di spiegare quali comportamenti possono essere utili o quali andrebbero evitati. Presso i nostri centri in genere sconsigliamo che lo stesso psicologo il quale ha in trattamento una persona possa vedere anche i genitori per fornire indicazioni su come comportarsi.
In linee generali, qualora non fosse specificato diversamente dallo psicologo di riferimento, il ruolo della famiglia è quello di comportarsi in modo del tutto normale ovvero non considerare il proprio figlio come "problematico". Una pressione costante di un genitore come all'opposto una completa indifferenza, generalmente non aiutano. Uno degli "errori" più comuni, ad esempio, è quello di cercare di esercitare un controllo diretto anche su azioni e decisioni normali del proprio figlio maggiorenne che, in assenza di problema, non si attuerebbero.
Ad esempio è molto comune che alcuni genitori impediscano a un figlio con un problema d'ansia di svolgere alcune attività anche normalissime. Ovviamente evitare situazioni lavorative, sociali, scolastiche ecc. che prima del problema si svolgevano normalmente è causa diretta del mantenimento del problema. In psicologia emotocognitiva non vale la regola prima risolvo poi agisco ma esattamente il contrario: "agisco quindi risolvo". Ovviamente questa apparente linearità dell'affermazione è squisitamente orientativa. Infatti la psicologia emotocognitiva ha da anni dimostrato che non è in sé lo svolgimento dell'azione inibita che porta alla soluzione del problema, ma il cambiamento di azione rispetto alla percezione di sofferenza primaria.
Sappiamo oggi che qualora si inibissero azioni che in assenza di problema si svolgerebbero questo può portare al mantenimento della sintomatologia a lungo termine e quindi interferire con i programmi di riabilitazione. Nella maggior parte dei casi, in assenza di comportamenti con rischio diretto per la salute e la vita del soggetto, va garantita una normale autonomia decisionale del figlio soprattutto maggiorenne.
L'obiettivo di ogni professionista è sempre la tutela della salute della persona in carico. A volte è possibile che ci siano anche tentativi di ingerenza da parte di alcuni familiari nell'attività di trattamento svolta dallo psicologo. In questi casi lo psicologo emotocognitivo, in genere, propone l'interruzione del trattamento in quanto non ci sarebbero i presupposti per ottenere benefici dal proseguimento del trattamento.
Ovviamente, è bene ribadirlo, ogni caso va valutato nello specifico ed è sempre utile chiedere direttamente al professionista di riferimento. I comportamenti “anomali” (in quanto diversi da quelli messi in atto fino ad allora) del figlio adolescente rappresentano infatti un tentativo di soluzione del ragazzo a stati di tensione generati dai processi maturativi psicofisiologici sui quali influiscono anche fattori di ordine socio-culturale. Mentre le soluzioni messe in atto dal sistema familiare per risolvere le tensioni tendono principalmente a contrastare i comportamenti “anomali”, ossia non più riconoscibili ed accettabili dei figli. Questa modalità ha però l’effetto di incrementare conflitti e tensioni.  Il rischio principale in questo processo di ricostituzione di una condizione di benessere originario è quello di non rendersi conto dell’inefficacia delle soluzioni adottate e dell’impossibilità di ricostituire una condizione di equilibrio ormai passata. Questo tipo di organizzazione immette il sistema familiare in quello che la psicologia emotocognitiva definisce “loop disfunzionale”, ovvero un processo circolare e ridondante, che può generare interazioni familiari rigide e potenzialmente patogenetiche che possono mettere a rischio la salute di uno o più componenti e, ovviamente, dell'intero sistema familiare. Le nuove tecniche della psicologia emotocognitiva considerano il trattamento indiretto la forma di intervento più efficace per la risoluzione di disagi, problemi e disturbi riguardanti l’adolescente e la sua famiglia. Il trattamento indiretto è un intervento breve e prevede solo la presenza dei genitori (entrambi o uno solo secondo i casi), il colloquio prende in considerazione unicamente il problema riportato con l’obiettivo di valutare accuratamente la situazione e di individuare delle modalità di comunicazione e di comportamento efficaci a risolvere il disturbo, interrompendo il loop disfunzionale (Baranello, 2006) che si è creato tra i tentativi contrastanti di soluzione autonoma e lo stabilizzarsi ed aggravarsi dei sintomi. E’ importante richiedere un intervento psicologico tempestivo in quanto un funzionamento disfunzionale del sistema familiare protratto nel tempo può generare una situazione a rischio patologico. L’intervento clinico non ha come unico obiettivo il benessere del minore, ma anche, il benessere psicofisico del genitore.

a cura del Dott. Marco Baranello
psicologo, direttore scientifico SRM Psicologia

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