RISPOSTA. La psicologia emotocognitiva
non è un metodo in realtà, ma un vero e proprio modello teorico.
Per psicologia emotocognitiva infatti si
intende l'applicazione nelle scienze
psicologiche della più ampia teoria
emotocognitiva, un nuovo paradigma teorico
generale sul funzionamento sistemico. La
psicologia emotocognitiva orienta quindi il clinico
nel come usare gli strumenti psicologici a
propria disposizione per renderli più
tecnici e proficui nella direzione della
riabilitazione psicologica funzionale, quindi senza uso di
psicofarmaci e sopratutto senza psicoterapia. L'obiettivo è
il recupero di abilità e funzioni che
risultano compromesse (del tutto o in parte)
per aprire la strada a un processo
riabilitativo naturale e spontaneo.
La maggior parte dei pazienti con diagnosi di disturbo
ossessivo-compulsivo (DOC) che si rivolge presso i nostri studi di
psicologia, viene da uno storia di tentativi farmacologici
e psicoterapici di anni per risolvere il disturbo
e che si sono rilevati inefficaci,
altrimenti non avrebbero richiesto altri
interventi! E' comune quindi vivere la propria condizione come
"non risolvibile". E' difficile pensare che
dopo tanti anni si possa risolvere. La
domanda più comune è come sia possibile
risolvere qualcosa che nessuno prima d'ora è
riuscito a risolvere? Se così fosse però non
avrebbe senso la ricerca scientifica. Il
ruolo di professionisti e scienziati è
proprio quello di trovare nuove soluzioni
dove un tempo non c'erano. La scienza, per
nostra fortuna, e nonostante i tentativi di
attacco all'innovazione alcune lobbies, va
avanti e produce nuovi risultati. Il DOC, la cui manifestazione comprende
ossessioni (ovvero pensieri intrusivi non desiderati dal
soggetto) e compulsioni (mettere in atto di rituali e
azioni che servono per ridurre lo stato di sofferenza
associato all'ossessione), vengono spesso trattati con
farmaci neurolettici. Quello che la maggior parte dei pazienti
dichiara è la non efficacia terapeutica del farmaco. La
strada del trattamento psicologico viene a volte intrapresa
rivolgendosi ad uno psicologo qualsiasi, senza conoscere
quale metodo e quale psicologo siano i più adatti al proprio
specifico caso.
Lo psicologo a indirizzo di psicologia emotocognitiva
interviene sulle ossessione e sulle compulsioni attraverso
metodologie puramente psicologiche.
La focalizzazione del trattamento è sui processi che
sostengono e mantengono la sintomatologia e su quelle
modalità di gestione del disturbo che in realtà si rivelano
inefficaci. La sensazione di "essere pazzi", di "impotenza"
o di "incapacità" nella gestione di un problema che sembra
più forte di se stessi, può portare anche a forme di
depressione reattiva che in genere vengono risolte in
brevissimo tempo insieme alla remissione delle condotte
compulsive. Il DOC crea enorme disagio a livello personale,
sociale e lavorativo e spesso le compulsioni impegnano buona
parte del tempo della persona.
Ricordiamo che il paziente è cosciente che le ossessioni e
le compulsioni sono assurde o comunque eccessive. Infatti
l'attenzione dello psicologo non è sul contenuto ma sui
processi psicofisiologici e bio-psico-sociali che mantengono
la complessa sintomatologia. Spostando il focus della
terapia psicologica sui processi anziché sui contenuti siamo
oggi in grado di portare a remissione la maggior parte delle
forme di disturbo ossessivo-compulsivo. Gli effetti
terapeutici del colloquio psicologico ad indirizzo di
psicologia emotocognitiva si evidenziano già nella prime sedute. La
remissione dei principali sintomi in tempi brevi offre al
paziente la chiara percezione che il problema sia
risolvibile. Questo porta alla remissione anche dei sintomi
depressivi secondari (quando presenti).
E' comunque difficile per una persona che soffre di
ossessioni e compulsioni decidere di rivolgersi ad uno
psicologo spesso proprio perché ritiene assurdo il proprio
comportamento.
La persona si trova in quello che in psicologia
emotocognitiva si definisce "loop disfunzionale"
(Baranello, 2006) ovvero
un circolo vizioso in cui ogni tentativo di resistere e di
risolvere il sintomo sembra fallire. Alcuni pazienti
raccontano che i precedenti "terapeuti" cercavano di
arrivare alla cause "inconsce" del problema ma, anche dopo
anni, non vedevano un miglioramento. La frase più comune è
"ora ci convivo un po' meglio". La domanda che dobbiamo
porci è "perché convivere con un problema che oggi si può
risolvere?". In breve, siamo di fronte a nuove scoperte e
ricerche nel campo della psicologia che hanno prodotto nuove
opportunità d'intervento clinico davvero
efficaci. |