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Terapia Psicologica di Schizofrenia e Psicosi
come aiutare un figlio affetto da disturbo schizoaffettivo, schizofrenia e psicosi - strumenti pratici per il genitore
 

DOMANDA. Sono la mamma di una ragazza di 23 anni affetta da schizofrenia e psicosi. L'ultima diagnosi è stata di disturbo schizoaffettivo. Ha iniziato a manifestare i primi sintomi intorno ai 17 anni. E' iniziato tutto un po' per caso credo che abbia fumato una canna con le sue amiche e da lì è cambiato tutto. Non me lo ha mai confermato ma me l'hanno detto persone che conosco. E' sempre stata una ragazza un po' introversa ma dal mio punto di vista normale. Andava a scuola abbastanza bene. Aveva qualche amica anche se non tante ma mi sembrava comunque normale. Nell'ultimo anno di superiori è stata bocciata per le numerose assenze e perché non seguiva. Stava spesso a casa, si sentiva stanca e trattata da pazza dagli altri. A stento siamo comunque riusciti a farla diplomare. Voleva andare all'università ma poi ha rinunciato completamente all'idea. Si è sempre più ritirata in se stessa e ora vive quasi completamente chiusa dentro la sua stanza. Frequenta un centro diurno ma sono più le volte che non ci va. Abbiamo iniziato 6 anni fa un percorso psichiatrico. Io ero contraria agli psicofarmaci ma sia il medico che il padre della ragazza (siamo divorziati da circa 10 anni) insistevano e quindi ho dovuto accettare. Non sono un medico né uno psicologo mi sono fidata che potevo fare? Quello che ho visto però è che da quando prende i farmaci la ragazza si è gonfiata, non si piace, inizia ad avere comportamenti ancora più strani, borbotta da sola, ride senza motivo ed è diventata più aggressiva a volte, quando non si fa quello che vuole, prova anche ad alzare le mani. A volte trascina anche i piedi e sembra uno zombie. Non ha allucinazioni ma parla in modo strano. Mi hanno detto che si chiama "eloquio disorganizzato". Più diventa aggressiva più aumentano i farmaci e una volta mi hanno proposto anche un TSO ma per fortuna non c'è stato. Quando è tranquilla sembra quasi lucida ma non dura molto. Ho provato a dire che secondo me i farmaci peggiorano la situazione ma la risposta è stata che non sono i farmaci ma è la malattia, che va gestita perché il problema è genetico. In famiglia però non c'è nessuno con lo stesso problema né da parte mia né da parte del mio ex marito. Il problema è che in tanti anni di cure non vedo proprio miglioramenti, anzi. Mi sento impotente e sinceramente anche io sono molto stanca. Mi hanno proposto un istituto ma non vorrei, ho tanta paura per lei. Non so se esiste una cura ma nessuno mi dice cosa fare, come comportarmi. Soltanto indicazioni generiche del tipo "non la contraddica", "provi ad ascoltarla" oppure le solite "pacche sulle spalle".  Vi scrivo disperata. Si può fare qualcosa oppure il destino di mia figlia è davvero un istituto per malati di mente?


RISPOSTA. Premettiamo subito che la situazione andrebbe valutata nello specifico per capire se il problema sia di tipo funzionale oppure sia dovuto a una condizione medica. Capiamo bene che si è già rivolta a professionisti della salute e che la ragazza è seguita dal punto di vista farmacologico. In genere in questi casi la strada che si intraprende è quasi sempre questa, a volte abbinata a un qualche sostegno psicologico o una qualche forma di terapia riabilitativa (pet-therapy, ippoterapia, terapie occupazionali, terapie ricreativie, ecc.). La maggior parte dei casi che arrivano all'attenzione dei nostri centri di psicologia emotocognitiva o nei nostri studi di counselling educativo hanno  percorso proprio queste classiche strade. Infatti chi si rivolge a noi necessariamente passerà prima attraverso i classici trattamenti in quanto i più diffusi e standardizzati. La lamentela però è sempre la stessa: una scarsa efficacia, la mancanza di strumenti offerti al genitori e, troppo spesso, un peggioramento della situazione sociale della persona affetta da psicosi. Infatti spesso il "successo" nel sostegno farmacologico viene indicato come una diminuzione dei sintomi positivi (deliri, aggressività, ecc.) ma di contro c'è una persona che sembra un "vegetale" con nessuna possibilità a volte, per aspetto e mancanza di energia, a poter instaurare nuove relazioni di amicizia. Il fine di tutto sembra sempre essere l'isolamento fino alla disperata scelta di inserire il proprio figlio in un qualche istituto per poter almeno avere un contatto con altri. Insomma questo è in estrema sintesi quello che spesso accade, quello che abbiamo visto nelle persone che cercano in noi l'ultima spiaggia, l'ultima possibilità di cura. E' bene quindi specificare ed essere onesti e chiari. Se la cura è possibile le probabilità aumentano all'inizio della manifestazione del sintomo quando ancora non c'è un accanimento farmacologico. Quando il soggetto è "imbottito" di farmaci e presenta effetti collaterali associati anche il trattamento psicologico o il counselling educativo risultano poco efficaci.
Il vero problema è che davvero nessuno spiega al genitore il "come fare" pratico e concreto per la gestione di un figlio affetto da schizofrenia o psicosi o, come in questo caso, con diagnosi di disturbo schizoaffettivo (che rientra ovviamente nei disturbi psicotici). Diciamo anche che i farmaci neurolettici non hanno mai sortito un effetto realmente terapeutico ma vengono considerati palliativi ovvero tesi alla gestione del paziente.
La fatica per un genitore, soprattutto per il genitore che vive tutti i giorni con il figlio affetto da schizofrenia, è molto più che faticosa, è esasperante.
Per questo motivo abbiamo messo a punto degli strumenti psicoeducativi rivolti soprattutto ai genitori. Si tratta di trattamenti indiretti, senza la presenza del proprio figlio affetto da schizofrenia e a sua insaputa. L'obiettivo è la valutazione delle modalità di organizzazione, di comportamento e di comunicazione per poi suggerire in modo molto pratico e tecnico nuove strategie di comunicazione. I nostri professionisti psicoloogi o educatori forniranno un concreto "come fare" basato su "cosa dire", "come dirlo", "quando dirlo" per permettere al genitore di acquisire almeno strumenti di gestione razionale.
Dobbiamo dire che in molti casi le diagnosi di schizofrenia potrebbero in realtà essere valutate come una forma di "disturbo ossessivo-compulsivo" questo si vede in genere in poco tempo (circa 5-8 sedute) applicando le strategie organizzative suggerite. Infatti se si manifesta una remissione è probabile che 1) il disturbo possa essere di altra natura e non schizofrenia oppure 2) che il disturbo psicotico di quel soggetto in realtà non sia di natura genetica o legata a specifiche condizioni mediche. Comunque è possibile anche la diagnosi di disturbi di personalità, spesso sottovalutata in ambito psichiatrico, in particolare un disturbo schizotipico. Ovviamente il tutto va valutato in appropriati contesti, qui forniamo soltanto un'indicazione molto generale.
In questo l'approccio proposto nei nostri centri può essere molto utile in ambito di diagnosi differenziale. Stiamo comunque parlando di disturbo che statisticamente vengono definiti gravi o cronici. Per questo crediamo necessario percorrere comunque una strada in grado di far emergere se il problema sia realmente cronico o meno. Nel primo caso l'approccio psicologico e psicoeducativo possono fungere da sostegno per il genitore mentre nel secondo caso rappresentare un'opportunità di cura. 
 

a cura del Dott. Marco Baranello
psicologo, direttore scientifico SRM Psicologia

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